La Cina, un gigante del mercato globale di carne suina

La Cina, con il suo quasi miliardo e mezzo di abitanti sparsi su un territorio di circa nove milioni e mezzo di chilometri quadrati, è ormai una potenza economica riconosciuta e affermata. La sua influenza riguarda numerosi settori del mercato globale, tra cui quello legato alla carne suina.

Tuttavia, proprio sotto questo aspetto, a causa della diffusione della PSA, nota come “peste suina”, è entrata, negli ultimi anni, in grande difficoltà. Quali effetti ha avuto sul mercato internazionale?

Andiamo allora a scoprire perché la Cina sta attraversando un momento di crisi legato alla produzione di carne suina, e come questo impatta a livello globale.

Lo scoppio della peste suina in Cina

Durante l’agosto del 2018 si sono rilevati i primi casi di peste suina in Cina, la quale si è poi diffusa in maniera abbastanza veloce e con un grande impatto sulla produzione interna. Focolai si sono ben presto riscontrati in tutto il Paese. La PSA, emersa nel continente africano nei primi anni del secolo scorso, e poi espansasi in Europa, sembrava, fino a qualche anno fa, essere stata debellata, per poi però riemergere nel 2007 in Georgia. Da quel momento, la sua diffusione è stata graduale ma costante, sia in Europa sia, ora, anche in Cina. La grande potenza asiatica è il principale consumatore di carne proveniente dai maiali, con circa 50 milioni di tonnellate l’anno: stiamo parlando di una fetta molto rilevante di mercato, circa il 50% della produzione mondiale. Inoltre, la Cina è anche il maggiore produttore di questa risorsa alimentare, largamente impiegata nella tradizione culinaria di questo Paese.

Va ricordato come questo virus non è in realtà nocivo per gli uomini, mentre negli animali provoca una malattia emorragica, con il conseguente risultato di doverli abbattere. Anche in Cina si è seguito questo stesso protocollo, largamente usato in tutto il mondo, l’unico finora strumento per contrastare la diffusione della malattia ossia la soppressione di tutti gli animali infetti e degli altri situati entro un’area di tre chilometri dalla zona di diffusione. In attesa di un vaccino, su cui stanno lavorando diversi istituti scientifici, dal Vietnam all’Europa, in particolare Spagna e Francia, l’abbattimento rimane l’unica soluzione percorribile. Il governo cinese ha previsto indennizzi per i piccoli e medi allevatori, che si affiancano alla produzione su scala industriale e con metodi intensivi. Tuttavia, questa misura di sostegno economico non sembra funzionare, se è vero, come riporta la rivista Science, che proprio a causa della PSA si è assistito a un cambiamento dell’allevamento di maiali in Cina, dove i piccoli allevatori sono passato da 40 a 20 milioni. I costi di soppressione dei propri capi (in media 10-20) risultano per questi imprenditori insostenibili, nonostante gli indennizzi. Questo ha favorito gli allevamenti industriali, come quello di 26 piani a Ezhou. Il governo cinese sta quindi pensando ad altre misure alternative all’abbattimento, come per esempio l’isolamento dei capi infetti, il controllo dei contatti e dei contagi, la sterilizzazione degli strumenti di lavoro.

Per ora la situazione è monitorata, ma desta preoccupazione, sia all’interno del Paese di Mezzo, sia a livello internazionale.

Ma come ha risentito il mercato interno della diffusione della PSA?

La carne suina in Cina: un mercato in fibrillazione

Come si può immaginare, la rapida diffusione della PSA, legata anche all’insorgere di mutazioni del virus dovute in parte anche alle modalità intensive di allevamento, ha comportato una crisi nel mercato interno. Tra l’ultimo trimestre del 2018 (ossia dopo la scoperta dei primi casi di peste suina) al primo del 2021, la Cina ha perso quasi 28 milioni di tonnellate di produzione di carne suina. Un ciclo di trenta mesi in cui quindi si è sentito molto forte l’impatto di questa malattia.

Questo ha comportato, in primo luogo, un aumento istantaneo dei prezzi della carne suina in Cina, che sono più che raddoppiati, un incremento che si è verificato soprattutto dopo quasi un anno dai primi focolai. I prezzi sono rimasti alti per più di un anno, per poi diminuire durante il 2021, tornando vicino ai valori precrisi dopo più di tre anni dei primi casi di PSA.

Nell’ultimo anno si è registrato un ulteriore calo, abbastanza rilevante (il 40% rispetto al 2022), il che ha fatto sorgere la preoccupazione di una possibile spirale di deflazione, poiché la carne di suino va a incidere in modo molto pesante sull’indice dei prezzi al consumo della Cina.

I prezzi di questa risorsa alimentare sono in realtà sempre caratterizzati da un ciclo di espansione e contrazione, dovuto anche al fatto che le autorità cinesi creano delle riserve strategiche di carne suina congelata, da immettere nel mercato quando i prezzi si alzano troppo, e così calmierarli; a questa iniziativa si aggiunge anche l’acquisto, da parte dello stesso governo, di grandi quantità di carne quando calano richiesta e prezzi. Così è stato anche in questo caso, con il governo che è intervenuto per acquistare carne e far salire i prezzi, ribassati nuovamente a causa di una domanda ancora scarsa. Questo nuovo calo è legato, tra l’altro, alle strategie delle principali aziende produttrici. Solitamente, in momenti come questi, i grandi allevatori riducono la produzione, comprando meno suini giovani, e vendendo le loro scrofe, in attesa di un rialzo dei prezzi. Tuttavia, in questo caso le aziende produttrici non hanno attuato questa strategia (solo -10% di acquisto di suinetti).

Come si può immaginare, questo momento di difficoltà del settore dell’allevamento di suini ha avuto ripercussioni sulla Borsa cinese, dove il maggiore allevatore, Muyuan Foodstuff, ha fatto registrare nel 2023 un calo superiore al 20%; inoltre, i futures sui maiali vivi negoziati sulla Borsa delle materie prime di Dalian sono calati di quasi il 15%.

Ma quale è stato l’impatto sul mercato internazionale?

L’impatto della PSA in Cina sul mercato globale di carne suina

In questi mesi di crisi della produzione, la Cina ha importato un enorme quantitativo di carne suina, battendo ogni record. Stiamo parlando del 45% delle importazioni mondiali di carne suina (nel 2020), che ha riguardato ben 31 Paesi, Unione europea in testa (58%), seguita da Usa (15%). Tuttavia, l’import è andato a sostituire solo il 20% della produzione persa. Quindi, tra metà 2019 e per quasi tutto il 2020, l’offerta di carne suina in Cina era in deficit.

Nonostante questi numeri quasi impressionanti, l’impatto di questa situazione sui mercati di carne suina negli altri Paesi del mondo è stato abbastanza limitato. Per fare un esempio, riprendendo il tema dei prezzi, gli aumenti nei tre principali esportatori (Germania, Spagna, Stati Uniti) sono stati di breve durata e più bassi rispetto a quelli in Cina.

Per il 2024, le proiezioni dell’Usda (Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America) tratteggiano un panorama senza grandi sconquassi. Infatti, la Cina rimarrà il principale Paese al mondo per produzione, import e consumo di carne suina. Rispetto al primo aspetto, si parla di quasi 56 milioni di tonnellate di carne, quasi la metà del totale globale, con un calo abbastanza limitato (-1%) rispetto all’anno passato. Le importazioni saranno il 23,6% del totale (quasi 10 milioni di tonnellate). Anche per quel che riguarda i consumi, si va oltre la metà di quelli mondiali (circa 58 milioni di tonnellate). Insomma, una conferma della situazione consueta.

L’Unione europea rimarrà al secondo posto come produzione (18,3% del totale, 21,2 milioni di tonnellate), come nei consumi, con una quota del 15,7% del totale mondiale, ma confermerà il suo primato in quanto a export (circa un terzo del totale).

Al terzo posto tra i produttori troveremo ancora gli Stati Uniti (11% della produzione mondiale, per circa 12,7 milioni di tonnellate di carne suina prodotta). Terzo posto anche nei consumi (8,7% del totale), per salire al secondo come esportatori, con circa il 30% dell’export mondiale di carne suina, registrando un incremento del +2,8% sul 2023 (3,15 milioni di tonnellate).

Se la Cina sarà ancora il primo Paese importatore, quote rilevanti di mercato saranno occupate dal Giappone (15,5% sul totale mondiale) e Messico (13,4%). Da rilevare l’exploit del Brasile in quanto a esportazioni, salendo in terza posizione con 1,53 milioni di tonnellate di carne, il 14,8% del totale mondiale.

Si tratta ovviamente di proiezioni e stime, che tuttavia evidenziano ancora il ruolo principale della Cina nel mercato globale di carne suina, nonostante la diffusione della PSA e il calo di produzione.

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